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FILIERA DELLA CARNE

La filiera della carne parte dall'allevamento di animali che in determinate fasi della loro vita a secondo dell'animale e della tipologia di carne che si vuole ottenere vengono sacrificati per fornire all'uomo una fonte di proteine definita di alto valore biologico, cioè contenente tutti gli amminoacidi indispensabili per una corretta sintesi proteica. La qualità della carne e suoi derivati ottenuti come prodotti finali rappresenta uno specchio della qualità delle fasi che hanno preceduto la sua distribuzione nelle macellerie e quindi nella vendita al dettaglio.

La filiera ha inizio con l'allevamento degli animali dove a norma di legge debbono essere rispettati le condizioni igieniche dell'animale nonché un tipo di alimentazione igienicamente e nutrizionalmente corrette. Le condizioni ambientali, il tipo di alimentazione, l'indirizzo produttivo e le conseguenti possibili esigenze di natura tecnica o tecnologica sono tutti fattori che determinano la scelta dei sistemi di allevamento riconducibili a tre tipologie: confinato, brado e semi-brado.

 

Nella tipologia confinato gli animali sono limitati in spazi chiusi ed è usato dagli allevamenti intensivi. Questo tipo di allevamento permette una ottima razionalizzazione del processo produttivo potendo attuare tutti gli accorgimenti tecnologici per incrementare le produzioni. Richiede strutture adeguate di varia complessità.

Nella tipologia Brado gli animali sono tenuti liberi di pascolare per tutto l'anno.

Nella tipologia semi-brado gli animali sono sottoposti a due differenti regimi di allevamento nel corso dell'anno: in regime confinato durante la stagione fredda; al pascolo per il resto dell'anno.

Dopo la crescita e l'ingrasso in allevamento l'animale da macellare viene trasportato nel rispetto delle condizioni igienico-sanitarie in mezzi idonei capaci anche di riassettare la densità di carico degli animali che non devono essere sottoposti ad un eccessivo stato stressogeno secondo le norme comunitarie sul benessere animale. Nella struttura deputata alla macellazione l'animale viene correttamente identificato in maniera da garantire dopo la macellazione la tracciabilità della carne (zona di allevamento, metodo di allevamento, alimentazione somministrata). Dopo l'identificazione l'animale viene visitato dal veterinario del mattatoio che stabilisce il proseguo delle operazioni. Dopo la macellazione il veterinario effettua una seconda visita sulle carni e visceri dell'animale (supportato anche da analisi di laboratorio) e determina se queste possono essere utilizzate per l'alimentazione umana. Il tutto viene garantito da un timbro posto sulle carni dalle Autorità Sanitaria competente nel quale sono riportati il numero identificativo dello stabilimento di macellazione e la sigla del Paese della Comunità Europea in cui è stato macellato. Dopo la macellazione le carni vengono riposte in frigoriferi a +4°C con adeguata ventilazione che ne consentono i processi fisiologici di maturazione con acquisizione delle caratteristiche organolettiche e trasformazione del muscolo in alimento, mediante l’azione combinata di enzimi ed acido lattico che si forma da tali processi di maturazione definiti, nel loro insieme, “frollatura”. Questo processo di maturazione attribuisce alle carni fresche un maggior grado di tenerezza e succulenza e la trasformazione del colore rosso vivo, dato dall’emoglobina e dalla mioglobina, in rosso brunastro dato dalla metamioglobina, attraverso fenomeni di ossidoriduzione. La durata della frollatura dipende dall'età e dal peso degli animali, oltreché dall'alimentazione che hanno ricevuto in vita: in quelli giovani può durare 3-7 giorni ad una temperatura di +1/+4°C; in quelli più maturi dovrebbe protrarsi almeno fino a 15 giorni. Dopo la maturazione le carni vengono sezionate in laboratori specializzati e trasferiti con mezzi idonei e refrigerati nelle macellerie con vendita al dettaglio. La carne venduta nelle macellerie deve sempre esporre delle etichette che ne indicano:

  • il Paese di nascita dell’animale

  • il Paese di allevamento ed ingrasso

  • il numero di Riconoscimento dello stabilimento di macellazione, con la sigla del relativo Paese Comunitario

  • l’identificazione dell’animale o del gruppo di animali che consente di stabilire un nesso tra animale vivo e taglio anatomico

  • ragione sociale e sede del produttore

  • peso netto

  • denominazione commerciale del prodotto (taglio anatomico/specie animale)

  • data di confezionamento e /o scadenza

  • lotto produzione

  • modalità di conservazione

 

Carni conservate in scatola

sul mercato esistono oltre alle carni fresche esistono le carni trasformate che per definizione sono prodotti che hanno subito diversi trattamenti quali la cottura, l’affumicatura o l’aggiunta di additivi chimici come sale, nitrati, nitriti, polifosfati, solfiti. L’inscatolamento è un ulteriore processo che consente di ottenere una conserva di carne mediante il quale è possibile mantenere un prodotto deperibile per tempi anche lunghi, grazie a procedimenti in autoclave che effettuano la sterilizzazione del prodotto lavorato in condizioni igieniche, di temperatura e pressione adeguate, all'interno di stabilimenti riconosciuti. Per la produzione di carni in scatola vengono utilizzati generalmente animali adulti, a fine carriera, con caratteristiche organolettiche delle carni che poco si presterebbero al consumo come carne fresca, perché dura, fibrosa e scura. La carne destinata all'inscatolamento dopo la macellazione, la refrigerazione e un iniziale frollatura di 3-4 giorno viene tagliata in piccoli pezzi lessata per 30 minuti, poi viene sistemata negli appositi contenitori di lamiera stagnata insieme ad un brodo. I barattoli chiusi ermeticamente sono sterilizzate in autoclave, dove restano per circa un’ora alla temperatura di 120 °C.


Prodotti a base di carne

I prodotti a base di carne rappresentano essenzialmente pezzi anatomici interi o come impasto di carne fresca cui vengono aggiunti ingredienti come il sale, il pepe, varie spezie ed altri additivi che hanno lo scopo di permettere una conservazione nel tempo di tali prodotti. Quelli che vengono conservati all'interno di un involucro sono detti “ insaccati”, mentre quelli ottenuti con un unico taglio anatomico, sottoposto a procedimenti di salagione, speziatura e stagionatura sono i prodotti di salumeria salati. I prodotti a base di carne possono essere crudi (salami, lonze, prosciutti) o cotti (mortadella, coppa di testa, ecc.). Gli insaccati sono prodotti di carne sminuzzata ed impastata con l’aggiunta di grasso, che può essere macinato o sotto forma di lardelli (cubetti), miscelata con sale, conservanti ed eventuali aromi. Successivamente l’impasto viene messo nell'insaccatrice che ne permette l’immissione all'interno di appositi involucri naturali (vescica di maiale, budelline di agnello, di suini, ecc) o artificiali (sintetici), che possono essere di diverso calibro. I salumi vengono posti in camere condizionate e ventilate per 15 – 90 giorni, a seconda del prodotto, ad un temperatura di circa 12°C: se si tratta di salumi stagionati, subito dopo l’insacco, se si tratta di prodotti freschi, dopo una prima fase di asciugatura e raffreddamento all'interno di celle frigorifere. La prima fase viene definita”stufatura” (temperature tra 18 e 26°C per 1-4 giorni). Poi segue l’asciugatura (per 5-10 giorni), per diminuirne il contenuto in acqua e, quindi, assicurarne la osservabilità. La stagionatura dura dalle 4 alle 8 settimane (o anche più), a temperatura di circa 10-15°C. In queste condizioni sulla superficie dell’involucro si sviluppano delle muffe mentre all'interno la proliferazione di lattobacilli, consente una serie di processi di maturazione (interna e superficiale) che attribuiscono al prodotto la tipicità e tutte quelle caratteristiche che lo fanno apprezzare dal consumatore. Terminata la stagionatura, le muffe superficiali vengono rimosse mediante spazzole e anche con un lavaggio del prodotto. Nel caso di insaccato cotto (mortadella), il prodotto è posto all'interno di stufe nelle quali il mezzo riscaldante è l’aria portata a 85°C. Dopo la cottura, l’insaccato viene immediatamente raffreddato fino a una temperatura interna di 10°C. Lo zampone è un tipico insaccato italiano di puro suino, dove l’impasto di carne magra con aggiunta di spezie ed additivi vari, viene immesso in un involucro naturale che è la pelle dell’arto anteriore dell’animale (da cui deriva il termine “zampone”). Il cotechino, invece, è un impasto di carne di suino inserito all'interno di un budello sintetico. Possono essere entrambi commercializzati allo stato crudo oppure, nella quasi totalità dei casi, come prodotti precotti e sterilizzati (imbustati). Wurstel è il diminutivo di “Wurt”, che in tedesco significa salsiccia: è un insaccato cotto, a volte affumicato, composto da carne suina (talvolta è ottenuto anche con carne bovina e avicola) e grasso di maiale che gli conferisce morbidezza. Viene venduto con o senza pelle, confezionato e pastorizzato (sopra i 70°C per 15 minuti). Il “prosciutto cotto” è un prodotto di salumeria ottenuto dalla coscia del suino sezionata, disossata, sgrassata e rifilata, privata dei tendini e della cotenna, con impiego di acqua, sale ed eventualmente di polifosfati. Per la produzione del prosciutto cotto, vengono selezionate cosce di suini più o meno pesanti. Per i prodotti senza polifosfati, si prediligono le cosce più “pesanti” (peso suino circa kg 180 kg), di migliore qualità, ma anche con una maggiore percentuale di grasso. I prosciutti con polifosfati vengono generalmente prodotti con suini più leggeri, con carni meno grasse e di minor qualità (peso suino circa kg 120). I polifosfati sono additivi addensanti che vengono aggiunti per contenere la perdita di acqua durante la fase di maturazione e di cottura, assicurando così una maggiore resa. I prosciutti cotti possono essere preparati con cotenna e grasso (in genere senza aggiunta di polifosfati e disossati manualmente) o senza cotenna, sgrassati e formati non dalla coscia intera, ma da diversi pezzi di carne ricompattati in un’unica forma e solitamente addizionati con polifosfati. La produzione del prosciutto cotto richiede in via preliminare la selezione della coscia dal resto della mezzena del suino e, dopo una attenta operazione di sgrassatura e rifilatura di tutte quelle parti che risultano dure e fibrose, come tendini e legamenti, viene disossato. Il disosso può essere praticato manualmente oppure meccanicamente: è un’operazione delicata che le mani esperte degli operatori del settore effettuano senza danneggiare le masse muscolari, con pregiudizio della qualità del prodotto finito. Quelli di migliore qualità vengono disossati secondo la tecnica detta “a prosciutto chiuso”, mantenendo inalterata l’integrità delle masse muscolari, con minore possibilità di ingresso di una flora batterica che potrebbe ingenerare processi alterativi. Dopo l’iniziale rifilatura ed asciugatura si passa alla salagione che può avvenire a secco, in salamoia o per iniezione nei vasi sanguigni della soluzione salina con siringa multiaghi. Attraverso la zangola, si esercitano massaggi e leggere pressioni sulle masse muscolari, per distribuire il sale a tutta la massa (zangolatura). Segue la formatura nel corso della quale le carni vengono poste all'interno di appositi stampi (solitamente di metallo) per dare la forma finale al prosciutto. Alla fine si passa alla cottura che avviene con vapore o in acqua a 100°C (per 1 ora ogni kg di prodotto): le carni vengono poi raffreddate a 0°C per 24 ore, tolettate e confezionate sottovuoto. Per il prosciutto crudo le carni vengono rifilate per conferire al prodotto la caratteristica forma tondeggiante a “coscia di pollo”. La rifilatura si esegue asportando parte del grasso e della cotenna, in presenza della quale la salagione risulterebbe tecnicamente difficile. La salagione del prosciutto viene effettuata con l’aggiunta di sale in percentuali proporzionate al peso: generalmente viene effettuata due volte, a distanza di una settimana l’una dall’altra. La successiva fase di lavorazione è il “riposo” in celle (a temperatura ed umidità relativa controllate), che assicura una buona ed omogenea disidratazione al pezzo anatomico. La salagione e il riposo non inferiore ai 90-110 giorni assicurano una buona osservabilità. Dopo il riposo le cosce sono sottoposte a lavaggio con acqua calda sotto pressione in macchine specifiche, allo scopo di rimuovere patine fungine eventualmente formatesi sulla superficie del prosciutto, quindi asciugate. La cotenna deve essere di colore chiaro e la colorazione del muscolo deve tendere al rosa. Alla palpazione, inoltre, il prosciutto deve presentarsi morbido. La fase successiva è la sugnatura: svolge la funzione di ammorbidire gli strati muscolari superficiali evitando un eccessivo e troppo rapido asciugamento degli stessi rispetto a quelli interni, pur consentendo un’ulteriore perdita di umidità. La parte muscolare scoperta viene ricoperta di sugna: un impasto di grasso di maiale macinato con aggiunta di un po’ di sale e di pepe macinato e talvolta farina di riso. Regolando l’evaporazione del prodotto si controlla la formazione di muffe. La fase più critica del ciclo di produzione del prosciutto crudo è la maturazione, che viene raggiunta in ambienti che favoriscono una lenta disidratazione. Oggi, per far fronte a eventuali condizioni climatiche sfavorevoli, i locali di stagionatura sono dotati di impianti specifici per evitare disidratazioni troppo intense o la formazione di muffe superficiali. A fine stagionatura viene apposto un marchio a fuoco che ne identifica l’origine e la provenienza. Lo speck deriva dalla coscia di suino disossata ed affumicata a freddo (max 20°C) per 3 settimane. Per l’affumicatura sono impiegati larghi camini dove vengono bruciati trucioli di acero e di faggio: le cosce salate sono appese a telai di ferro (alla distanza di almeno un metro dalla brace) e ricevono l’aromatizzazione tipica. Viene stagionato per almeno 4-5 mesi. La bresaola della Valtellina è un salume ottenuto da carne di manzo, salata e stagionata, che viene consumato crudo. La materia prima viene sottoposta a salagione, effettuata a secco in vasche d’acciaio dove la carne viene cosparsa con sale, pepe macinato e aromi naturali (possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri). La durata della salagione va dai 10 ai 20 giorni. La carne viene massaggiata, lavata e successivamente insaccata in involucri di protezione (budelli naturali o artificiali), quindi asciugata in apposite celle. Alla fase di asciugamento segue la stagionatura condotta a temperatura compresa tra 12 e 18 °C, per 2 – 4 mesi. Contrariamente a quello che molti ritengono, non è un insaccato ma un prodotto salato, in quanto preparato da tagli di carne intere. La pancetta è un taglio di carne che deriva dal rivestimento adiposo e muscolare del costato del suino, salata e venduta arrotolata, tesa o a cubetti. Può essere affumicata.


Considerazioni sulla filiera della carne

La qualità delle carni dipende in primis da come animale si nutre o per dirla meglio da come l'animale viene costretto a nutrirsi e in che condizioni. Se il principio della produttività massima con minima spesa la fà da padrona è ovvio che l'attenzione maggiore ricade sulle filiere delle carni derivate da allevamenti intensivi, presupponendo che i piccoli produttori forniscano ancora carni derivate da animali sicuri trattati in maniera più naturale possibile. La concentrazione degli animali in spazi sempre più ristretti ed un regime alimentare obbligato determina negli allevamenti intensivi una condizione di stress psico-fisico tale da impedire un corretto e naturale sviluppo di tutti i sistemi vitali tra cui quello immunitario che espone le bestie a facili malattie come quelle da infezioni microbiche. I trattamenti da antibiotici sono quasi obbligati per impedire epidemia negli stabilimenti. Non ci meraviglia che un uso massiccio di antibiotici possa selezionare super-batteri capaci di mostrare resistenza ad un ampio spettro di molecole antimicrobiche. Gli antibiotici usati nelle filiere alimentari pongono un altro interrogativo fondamentale per la BioNeF: cosa succede alla nostra flora intestinale quando assumiamo carni trattate con antibiotici? È possibile che si possano creare degli squilibri della flora intestinale ( vedi disbiosi intestinale) con tutte le conseguenze che ne derivano? La risposta ovviamente non può essere certa e definitiva anche perché stando ai dati ufficiali in italia si potrebbe stare alquanto sicuri. Ma i dubbi restano specialmente se consideriamo tutti i casi di disturbi intestinali esplosi quasi in maniera esponenziale negli ultimi anni. Se a questo aggiungiamo gli antimicrobici, antifunginei, utilizzati nelle farine dei prodotti da forno (vedi filiere del pane) e di tutti gli additivi a scopo conservativo presenti nei diversi cibi (pesce fresco, dolci, conserve, ecc.) ci accorgiamo che la quantità di xenobiotici assunti durante la giornata potrebbe assumere livelli preoccupanti. La lista degli xenobiotici utilizzati nella filiera della carne non si esaurisce purtroppo solo con gli antibiotici ma comprende: anabolizzanti, cortisone, beta-agonisti e beta-stimolanti. È quasi paradossale per un nutrizionista apprendere che la maggior parte degli xenobiotici vengano utilizzati nelle carni bianche e tenere come pollame e vitello da latte che vengono normalmente inserite nelle diete dimagranti. Ma quali sono i rischi per la salute?

Non è raro vedere bottoni mammari e ginecomastia nei bambini ed adolescenti segno evidente di uno squilibrio ormonale in una fase importante della vita; oppure è sempre più evidente il fatto che il menarca arriva con qualche anno di anticipo rispetto al passato come emerso da un indagine effettuata dalla Sima (Società italiana di medicina dell'adolescenza) e dalla Sigia (Società italiana di ginecologia dell'infanzia e dell'adolescenza) su 1048 studentesse di terza media (13 anni di età media). É possibile che possa dipendere da ciò che mangiamo? Non è inverosimile che un bombardamento di cibi ad alto contenuto di anabolizzanti possano creare degli squilibri ormonali e dare origine ai fenomeni visti sopra. È paradossale il caso di diverse donne iperestrogeniche (un livello alto di estrogeni rispetto al progesterone) che di per se hanno una difficoltà nel perdere peso credere di poter dimagrire assumendo carni bianche come il petto di pollo. Gli estrogeni o estrogeni simili usati nelle carni si sommano a quelli endogeni peggiorando la situazione. E che dire dei beta-agonisti o beta-stimolanti che per i cardiopatici è veleno se consideriamo che molte malattie cardiocircolatorie vengono curate con beta-antagonisti.

Perché

 vengono utilizzati questi xenobiotici?

La risposta è alquanto ovvia ed è legata all'aumento della produttività e alle richieste del mercato. I vitelli da latte, per esempio, vengono alimentati con mangimi poveri di ferro (in natura la carne sarebbe più rossa e grassa) per ottenere una carne bianca; gli androgeni in associazione con il cortisone (determina un senso di fame e benessere che induce a mangiare di più) favoriscono la produttività con rese migliori anche fino a 30 kg rispetto alle bestie non trattate. Quindi in definitiva si ottine una carne magra (povera di grassi), bianca (anemica) e più redditizia. Tra le carni più trattati con xenobiotici sicuramente il pollame è al primo posto.

Le considerazioni sulla filiera delle carni non si esaurisce purtroppo nella fase di allevamento ma prosegue nelle fasi successive Post-mortem sia per le carni fresche sia per le carni trattate (in scatola, salumi, insaccati).

Carni fresche

La prima considerazione sulle carni post-mortem riguarda la corretta maturazione (frollatura). La carne, durante la maturazione, subisce un calo di peso dell’ordine del 3-4%, legato alla perdita naturale di parte dell’acqua libera presente nel muscolo. Per tale motivo gli addetti al commercio delle carni tendono a ridurre al minimo i tempi di frollatura, a discapito della qualità del prodotto, in termini soprattutto di tenerezza e sapidità ma soprattutto della digeribilità . Diminuire le ore di maturazione per favorire ovviamente i tempi e rendere commerciabile il prodotto alimentare aumenta la redditività ma ne peggiora la qualità. È noto, inoltre come le carni fresche vengono trattate con anti-ossidanti capaci di mantenere il colorito rosso delle carni e evitare l'imbrunimento (sinonimo per il consumatore di carne andata a male). Per contrastare i fenomeni di imbrunimento delle carni, da tempo sono utilizzate diverse sostanze quali: niacina e nicotinammide (associate ad acido ascorbico ed ascorbati), solfiti e nitriti, acido L-ascorbico e i suoi sali di sodio e di calcio, monossido di carbonio. Tali sostanze sono utilizzate nell'industria alimentare come conservanti antimicrobici, antienzimatici e antiossidanti ma l'utilizzo di tali additivi in quantità superiore ai limiti consentiti dalla legge rappresenta una frode e danneggiano la salute. I solfiti e l'anidride solforosa nelle dosi comunemente utilizzate nell'industria alimentare sono considerati sicuri ma negli ultimi anni sono stati messi in luce problemi di ipersensibilità di alcune persone nei confronti di tali additivi; per questo i produttori sono obbligati secondo il decreto legislativo 117/2006 (integrazione del D.lgs 109/92) a riportare in etichetta la presenza di solfiti ed anidride solforosa. L’acido L-ascorbico è una vitamina essenziale per l’organismo umano e non presenta problemi di tossicità. La niacina e la nicotinammide, sostanze naturalmente presenti nella carne, se in quantità eccessive, possono provocare bruciore del cavo orale e prurito cutaneo. Il monossido di carbonio è innocuo per via alimentare tuttavia, esplicando la sua azione stabilizzatrice solo sul colore e non sulla flora microbica, potrebbe nascondere problemi igienico-sanitari, derivanti dalla proliferazione microbica (ad esempio lo sviluppo di amine biogene quali Istamina). Da quanto detto risulta evidente che le garanzie offerte dai controlli ufficiali non sono sufficienti per garantire un livello di sicurezza accettabile. D'altro canto è difficile avere la sicurezza assoluta di fronte a possibili frodi, a maggior ragione se il fenomeno è piuttosto diffuso. Occorre da un lato evitare posizioni estremistiche, dall'altro evitare di acquistare la carne con eccessiva leggerezza. Non si possono definire criteri di scelta assoluti, ognuno deve cercare le fonti di approvvigionamento più sicure e comode, a seconda della situazione e del luogo in cui si trova. Di sicuro esistono carni più a rischio, che meritano una particolare attenzione, o la totale messa al bando dalla propria alimentazione. In generale vale il principio che meno la carne è consumata dalla popolazione e più difficilmente gli allevamenti saranno di tipo intensivo, e quindi gli animali saranno meno trattati con farmaci. Nel caso della selvaggina (come cinghiale, fagiano, ecc.), avremo la sicurezza che l'animale è vissuto secondo natura. Affidarsi a prodotti inusuali, quindi, può rappresentare una forma di tutela contro contaminazioni e anche contro le frodi, poiché il mercato dell'illecito ha maggior convenienza agendo sui grandi numeri. I prodotti DOP e IGP, sempre più diffusi anche per quanto riguarda le carni, offrono garanzie di sicurezza aggiuntive grazie al maggior numero di controlli e l'obbligo di produrre secondo un disciplinare, e grazie (si spera) a una maggior etica del produttore che sceglie di puntare sulla qualità. Anche se, come abbiamo visto, le frodi avvengono anche in Italia, il nostro paese è storicamente meno colpito da scandali rispetto agli altri dell'Unione Europea: è bene affidarsi al mercato italiano acquistando carni di animali cresciuti e macellati in Italia. La nuova legge dovrebbe consentire agevolmente di risalire alle informazioni necessarie, esposte in etichetta.

Carni trattate

Le carni trattate rappresentano tutti i prodotti in scatola, insaccati, e salumi. In questo paragrafo vogliamo fare delle considerazioni più approfondita sui diversi additivi già accennati nei paragrafi precedenti, utilizzati per mantenere la freschezza delle carni, migliorarne il gusto ed impedire la proliferazione microbica in modo da conservare a lungo l'alimento. Nonostante siano ammessi dall'EFSA (Agenzia per la Sicurezza Alimentare), molti additivi mostrano alcuni effetti dannosi per l'organismo specie se assunti in grosse quantità. Per fortuna tutte le industrie alimentari hanno l'obbligo di specificare gli additivi aggiunti che vengono identificati con una sigla (una E seguita da 3 numeri). Queste sigle sono fondamentali per essere consapevoli su cosa assumiamo ed essere anche messi nelle condizioni di rifiutare l'acquisto dei prodotti alimentari che li contengono.

-Nitriti e nitrati (E249, E250, E251, E251) sono sostanze presenti in natura in alcuni alimenti vegetali ed animali. In chimica sono classificati tra i sali di azoto. Naturalmente i nitriti ed i nitrati li troviamo nel sedano, nella lattuga nelle bietole ed in molti altri ortaggi, ma combinati con la vitamina C perdono il potenziale nocivo per l'organismo. In ambito industriale, invece, si utilizzano principalmente negli insaccati, nella carne in scatola e nel pesce marinato. L'industria alimentare li utilizza come conservanti, per non intaccare la colorazione rosso vivo di carne ed insaccati, per mantenere l'aroma e fungere da antimicrobico. I nitriti nello stomaco originano le nitrosammine, composti dalla comprovata natura cancerogena. Inoltre, legandosi all'emoglobina, i nitriti inibiscono parzialmente il trasporto ai tessuti dell'ossigeno. I nitrati, naturalmente innocui, tendono a trasformarsi in nitriti quando a contatto con la saliva.

- Glutammato è un aminoacido presente naturalmente nelle proteine alimentari. Il sale di sodio ricavato da quest'acido è chiamato glutammato monosodico. Il glutammato di sodio viene utilizzato come additivo alimentare in numerosi prodotti: il comune dado da brodo, prodotti in scatola, salumi e cibi congelati. Si utilizza per intensificare il sapore del cibo, grazie alla sua capacità di attivare i recettori del gusto. La pericolosità del glutammato è alquanto controversa ma Oltre alla “sindrome da ristorante cinese”, è stata evidenziata la presenza di vari disturbi correlati all'assunzione eccessiva di glutammato, tra cui danni al cervello, cefalea, problematiche ormonali, cattiva ritenzione idrica. Inoltre, essendo un esaltatore di sapidità, il glutammato rende più salati e sapidi gli alimenti, diasabituandoci alla percezione del gusto naturale dei cibi.

-Polifosfati (E452) (polifosfati di sodio, potassio o calcio) sono composti inorganici che derivano dalla polimerizzazione del metafosfato di sodio. Sono additivi stabilizzanti, in quanto mantengono lo stato fisico-chimico di un prodotto alimentare nel tempo. Si trovano in Formaggi fusi, carni in scatola, insaccati cotti, prosciutti cotti, carni preparate di tacchino, prodotti impanati e dolciari, latte concentrato, latte in polvere, farina di patate, preparati per budini. Rendono il prodotto morbido e succoso, conferiscono aspetto untuoso. Vengono aggiunti per mantenere il prodotto più morbido in quanto  trattengono acqua amalgamandola con la parte grassa del composto. Allo stesso tempo si riducono i costi di produzione in quanto si riduce la materia prima in quanto aumenta la percentuale di acqua presente nel prodotto. Danno problemi digestivi e possono provocare occlusioni intestinali. Sottraggono calcio all'organismo col rischio di rachitismo, da evitare per i bambini e donne incinta. Come i difosfati e trifosfati, sono da consumarsi con moderazione, perché a dosi massicce possono comportare rischi di iperattività, di cattiva assimilazione dei minerali e anche problemi digestivi. Essendo contenuti in molti prodotti di uso quotidiano, alte concentrazioni di fosfati potrebbero alterare diversi processi metabolici. E' facilmente identificabile un insaccato che contiene polifosfati perché la fetta resta integra, lucida e non ha alcuna tendenza a sbriciolarsi, nemmeno dopo un giorno all'interno del frigorifero; invece quando un insaccato si presenta opaco e con bordi un po' frastagliati, è un alimento privo di questo additivo, quindi più genuino. L'aggiunta di polifosfati ai formaggini permette di incrementare la loro spalmabilità, consentendo alle creme di mantenere la loro consistenza fluida. Però, i polifosfati aggiunti agli alimenti contenenti calcio presentano oltre a quelle viste sopra anche una controindicazione: avendo una spiccata tendenza a legare lo ione calcio, rendono gran parte di tale minerale inutilizzabile, poiché ne riducono l'assorbimento da parte dell'organismo diminuendo il valore nutritivo degli alimenti a cui vengono addizionati. È interessante notare che i polifosfati sono anche contenuti nella maionese light per ridurre il quantitativo di olio, quindi di grassi, e quindi eliminiamo qualche molecola di grasso ed aggiungiamo un additivo chimico per garantire la consistenza del prodotto non light; demonizzare i grassi ha determinato più esiti negativi che positivi; i cosi detti cibi light non solo non servono a nulla in termine di dimagrimento ma sarebbero anche più dannosi alla salute. Addirittura è stato ipotizzato che l'assunzione di alcuno additivi come i polifosfati possa provocare un aumento dei livelli di colesterolo e di grassi nel sangue, e la comparsa di disturbi renali.