La filiera della carne
parte dall'allevamento di animali che in determinate fasi
della loro vita a secondo dell'animale e della tipologia di
carne che si vuole ottenere vengono sacrificati per fornire
all'uomo una fonte di proteine definita di alto valore
biologico, cioè contenente tutti gli amminoacidi indispensabili per
una corretta sintesi proteica. La qualità della carne e
suoi derivati ottenuti come prodotti finali rappresenta
uno specchio della qualità delle fasi che hanno preceduto la
sua distribuzione nelle macellerie e quindi nella vendita al
dettaglio.
La filiera ha inizio
con l'allevamento degli animali dove a norma di legge debbono
essere rispettati le condizioni igieniche
dell'animale nonché un tipo di alimentazione
igienicamente e nutrizionalmente corrette. Le condizioni
ambientali, il tipo di alimentazione, l'indirizzo produttivo e le
conseguenti possibili esigenze di natura tecnica o tecnologica sono
tutti fattori che determinano la scelta dei sistemi di allevamento
riconducibili a tre
tipologie: confinato, brado e semi-brado.
Nella tipologia confinato gli
animali sono limitati in spazi chiusi ed è usato dagli allevamenti
intensivi. Questo tipo di allevamento permette una
ottima razionalizzazione del processo produttivo potendo
attuare tutti gli accorgimenti tecnologici per
incrementare le produzioni. Richiede strutture adeguate di
varia complessità.
Nella tipologia Brado gli animali
sono tenuti liberi di pascolare per tutto
l'anno.
Nella tipologia semi-brado gli
animali sono sottoposti a due differenti regimi di allevamento nel
corso dell'anno: in regime confinato durante la stagione fredda; al
pascolo per il resto dell'anno.
Dopo la crescita e l'ingrasso in
allevamento l'animale da macellare viene trasportato nel rispetto
delle condizioni igienico-sanitarie in mezzi idonei capaci anche
di riassettare la densità di carico degli animali
che non devono essere sottoposti ad un eccessivo stato stressogeno
secondo le norme comunitarie sul benessere
animale. Nella struttura deputata alla macellazione l'animale viene
correttamente identificato in maniera da garantire dopo la
macellazione la tracciabilità della carne (zona di
allevamento, metodo di allevamento, alimentazione
somministrata). Dopo l'identificazione l'animale viene
visitato dal veterinario del mattatoio che stabilisce il proseguo
delle operazioni. Dopo la macellazione il veterinario effettua una
seconda visita sulle carni e visceri dell'animale (supportato anche
da analisi di laboratorio) e determina se queste possono essere
utilizzate per l'alimentazione umana. Il tutto viene garantito da
un timbro posto sulle carni dalle Autorità
Sanitaria competente nel
quale sono riportati il numero identificativo dello stabilimento di
macellazione e la sigla del Paese della Comunità Europea in cui è
stato macellato. Dopo la macellazione le carni vengono riposte in
frigoriferi a +4°C con adeguata ventilazione che ne consentono i
processi fisiologici di maturazione con acquisizione delle
caratteristiche organolettiche e trasformazione del muscolo in
alimento, mediante l’azione combinata di enzimi ed acido lattico
che si forma da tali processi di maturazione definiti, nel loro
insieme, “frollatura”. Questo processo di maturazione attribuisce
alle carni fresche un maggior grado di tenerezza e succulenza e la
trasformazione del colore rosso vivo, dato dall’emoglobina e dalla
mioglobina, in rosso brunastro dato dalla metamioglobina,
attraverso fenomeni di ossidoriduzione. La durata della frollatura
dipende dall'età e dal peso degli animali,
oltreché dall'alimentazione che hanno ricevuto in vita:
in quelli giovani può durare 3-7 giorni ad una temperatura di
+1/+4°C; in quelli più maturi dovrebbe protrarsi almeno fino a 15
giorni. Dopo la maturazione le carni vengono sezionate in
laboratori specializzati e trasferiti con mezzi idonei e
refrigerati nelle macellerie con vendita al dettaglio. La carne
venduta nelle macellerie deve sempre esporre delle etichette che ne
indicano:
il Paese di nascita
dell’animale
il Paese di allevamento ed
ingrasso
il numero di Riconoscimento dello
stabilimento di macellazione, con la sigla del relativo Paese
Comunitario
l’identificazione dell’animale o
del gruppo di animali che consente di stabilire un nesso tra
animale vivo e taglio anatomico
ragione sociale e sede del
produttore
peso netto
denominazione commerciale del
prodotto (taglio anatomico/specie animale)
data di confezionamento e /o
scadenza
lotto
produzione
modalità di
conservazione
Carni conservate in
scatola
sul mercato esistono oltre alle
carni fresche esistono le carni trasformate che per definizione
sono prodotti che hanno subito diversi trattamenti quali la
cottura, l’affumicatura o l’aggiunta di additivi chimici come sale,
nitrati, nitriti, polifosfati, solfiti. L’inscatolamento è un
ulteriore processo che consente di ottenere una conserva di carne
mediante il quale è possibile mantenere un prodotto deperibile per
tempi anche lunghi, grazie a procedimenti in autoclave che
effettuano la sterilizzazione del prodotto lavorato in condizioni
igieniche, di temperatura e pressione
adeguate, all'interno di stabilimenti riconosciuti.
Per la produzione di carni in scatola vengono utilizzati
generalmente animali adulti, a fine carriera, con caratteristiche
organolettiche delle carni che poco si presterebbero al consumo
come carne fresca, perché dura, fibrosa e scura. La carne destinata
all'inscatolamento dopo la macellazione, la refrigerazione e un
iniziale frollatura di 3-4 giorno viene tagliata in piccoli pezzi
lessata per 30 minuti, poi viene sistemata negli appositi
contenitori di lamiera stagnata insieme ad un
brodo. I barattoli
chiusi ermeticamente sono sterilizzate in autoclave, dove
restano per circa un’ora alla temperatura di 120
°C.
Prodotti a base di
carne
I prodotti a base di carne
rappresentano essenzialmente pezzi anatomici interi o come impasto
di carne fresca cui vengono aggiunti ingredienti come il sale, il
pepe, varie spezie ed altri additivi che hanno lo scopo di
permettere una conservazione nel tempo di tali prodotti. Quelli che
vengono conservati all'interno di un involucro sono detti
“ insaccati”, mentre quelli ottenuti con un unico taglio
anatomico, sottoposto a procedimenti di salagione, speziatura
e stagionatura sono i prodotti di salumeria salati. I prodotti a
base di carne possono essere crudi (salami, lonze, prosciutti) o
cotti (mortadella, coppa di testa, ecc.). Gli insaccati sono
prodotti di carne sminuzzata ed impastata con l’aggiunta di grasso,
che può essere macinato o sotto forma di lardelli
(cubetti), miscelata con sale,
conservanti ed eventuali aromi. Successivamente l’impasto viene
messo nell'insaccatrice che ne permette
l’immissione all'interno di appositi involucri naturali
(vescica di maiale, budelline di agnello, di suini, ecc) o
artificiali (sintetici), che possono essere di diverso calibro. I
salumi vengono posti in camere condizionate e ventilate per 15 – 90
giorni, a seconda del prodotto, ad un temperatura di circa 12°C: se
si tratta di salumi stagionati, subito dopo l’insacco, se si tratta
di prodotti freschi, dopo una prima fase di asciugatura e
raffreddamento all'interno di celle frigorifere. La prima
fase viene definita”stufatura” (temperature tra 18 e 26°C per 1-4
giorni). Poi segue
l’asciugatura (per 5-10
giorni), per diminuirne
il contenuto in acqua e, quindi, assicurarne la osservabilità.
La stagionatura dura dalle 4 alle
8 settimane (o anche
più), a temperatura
di circa 10-15°C. In queste condizioni sulla superficie
dell’involucro si sviluppano delle muffe
mentre all'interno la proliferazione di lattobacilli,
consente una serie di processi di maturazione (interna e
superficiale) che attribuiscono al prodotto la tipicità e tutte
quelle caratteristiche che lo fanno apprezzare dal consumatore.
Terminata la stagionatura, le muffe superficiali vengono rimosse
mediante spazzole e anche con un
lavaggio del prodotto. Nel caso di
insaccato cotto (mortadella), il prodotto è
posto all'interno di stufe nelle quali il mezzo
riscaldante è l’aria portata a 85°C. Dopo la cottura,
l’insaccato viene immediatamente raffreddato fino a una temperatura
interna di 10°C. Lo zampone è un tipico insaccato italiano di puro
suino, dove l’impasto di carne magra con aggiunta di spezie ed
additivi vari, viene immesso in un involucro naturale che è la
pelle dell’arto anteriore dell’animale (da cui deriva il termine
“zampone”). Il cotechino,
invece, è un impasto di carne di suino
inserito all'interno di un budello sintetico. Possono
essere entrambi commercializzati allo stato crudo oppure,
nella quasi totalità dei casi, come prodotti precotti e
sterilizzati (imbustati). Wurstel è il diminutivo di
“Wurt”, che in tedesco significa salsiccia: è un insaccato cotto, a
volte affumicato, composto da carne suina (talvolta è ottenuto
anche con carne bovina e
avicola) e grasso di maiale che gli
conferisce morbidezza. Viene venduto con o senza pelle,
confezionato e pastorizzato (sopra i 70°C per 15
minuti). Il “prosciutto
cotto” è un prodotto di salumeria ottenuto dalla coscia del suino
sezionata, disossata, sgrassata e rifilata, privata dei tendini e
della cotenna, con impiego di acqua, sale ed eventualmente di
polifosfati. Per la produzione del prosciutto cotto, vengono
selezionate cosce di suini più o meno pesanti. Per i prodotti senza
polifosfati, si prediligono le cosce più “pesanti”
(peso suino circa
kg 180 kg), di migliore
qualità, ma anche con una maggiore percentuale di grasso. I
prosciutti con polifosfati vengono generalmente prodotti con suini
più leggeri, con carni meno grasse e di minor qualità
(peso suino circa
kg 120). I polifosfati
sono additivi addensanti che vengono aggiunti per contenere la
perdita di acqua durante la fase di maturazione e di cottura,
assicurando così una maggiore resa. I prosciutti cotti possono
essere preparati con cotenna e grasso (in genere senza aggiunta di
polifosfati e disossati manualmente) o senza cotenna, sgrassati
e formati non dalla
coscia intera, ma da diversi pezzi di carne ricompattati in
un’unica forma e solitamente addizionati con
polifosfati. La produzione del prosciutto
cotto richiede in via preliminare la selezione della coscia dal
resto della mezzena del suino e, dopo una attenta operazione di
sgrassatura e rifilatura di tutte quelle parti che risultano dure e
fibrose, come tendini e legamenti, viene disossato. Il disosso può
essere praticato manualmente oppure meccanicamente: è un’operazione
delicata che le mani esperte degli operatori del settore effettuano
senza danneggiare le masse muscolari, con pregiudizio della qualità
del prodotto finito. Quelli di migliore qualità vengono disossati
secondo la tecnica detta “a prosciutto chiuso”, mantenendo
inalterata l’integrità delle masse muscolari, con minore
possibilità di ingresso di una flora batterica che potrebbe
ingenerare processi alterativi. Dopo l’iniziale rifilatura ed
asciugatura si passa alla salagione che può avvenire a
secco, in salamoia o per iniezione nei vasi sanguigni della
soluzione salina con siringa multiaghi. Attraverso la zangola, si
esercitano massaggi e leggere pressioni sulle masse muscolari, per
distribuire il sale a tutta la massa (zangolatura). Segue la
formatura nel corso della quale le carni vengono
poste all'interno di appositi stampi (solitamente di
metallo) per dare la forma finale al prosciutto. Alla fine si passa
alla cottura che avviene con vapore o in acqua a 100°C
(per 1 ora ogni kg
di prodotto): le carni vengono poi
raffreddate a 0°C per 24 ore, tolettate e confezionate sottovuoto.
Per il prosciutto crudo le carni vengono rifilate per conferire al
prodotto la caratteristica forma tondeggiante a “coscia di pollo”.
La rifilatura si esegue
asportando parte del grasso e della cotenna, in presenza della
quale la salagione risulterebbe tecnicamente difficile. La
salagione del prosciutto viene effettuata con l’aggiunta di sale in
percentuali proporzionate al peso: generalmente viene effettuata
due volte, a distanza di una settimana l’una dall’altra. La
successiva fase di lavorazione è il “riposo” in celle
(a temperatura ed
umidità relativa controllate), che assicura una buona ed
omogenea disidratazione al pezzo anatomico. La salagione e il
riposo non inferiore ai 90-110 giorni assicurano una
buona osservabilità. Dopo il riposo le cosce sono sottoposte
a lavaggio con acqua calda sotto pressione in macchine
specifiche, allo scopo di rimuovere patine fungine eventualmente
formatesi sulla superficie del prosciutto, quindi asciugate. La
cotenna deve essere di colore chiaro e la colorazione del muscolo
deve tendere al rosa. Alla palpazione, inoltre, il prosciutto deve
presentarsi morbido. La fase successiva è la sugnatura: svolge la
funzione di ammorbidire gli strati muscolari superficiali evitando
un eccessivo e troppo rapido asciugamento degli stessi rispetto a
quelli interni, pur consentendo un’ulteriore perdita di umidità. La
parte muscolare scoperta viene ricoperta di sugna: un impasto di
grasso di maiale macinato con aggiunta di un po’ di sale e di pepe
macinato e talvolta farina di riso. Regolando l’evaporazione del
prodotto si controlla la formazione di muffe. La fase più critica
del ciclo di produzione del prosciutto crudo è la maturazione, che
viene raggiunta in ambienti che favoriscono una lenta
disidratazione. Oggi, per far fronte a eventuali condizioni
climatiche sfavorevoli, i locali di stagionatura sono dotati di
impianti specifici per evitare disidratazioni troppo intense o la
formazione di muffe superficiali. A fine stagionatura viene apposto
un marchio a fuoco che ne identifica l’origine e la provenienza. Lo
speck deriva dalla coscia di suino disossata ed affumicata a freddo
(max
20°C) per 3 settimane. Per
l’affumicatura sono impiegati larghi camini dove vengono bruciati
trucioli di acero e di faggio: le cosce salate sono appese a telai
di ferro (alla distanza di
almeno un metro dalla brace) e ricevono l’aromatizzazione
tipica. Viene stagionato per almeno 4-5 mesi. La bresaola della
Valtellina è un salume ottenuto da carne di manzo, salata e
stagionata, che viene consumato crudo. La materia prima viene
sottoposta a salagione, effettuata a secco in vasche d’acciaio dove
la carne viene cosparsa con sale, pepe macinato e aromi naturali
(possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri). La durata della
salagione va dai 10 ai 20
giorni. La carne viene
massaggiata, lavata e successivamente insaccata in involucri di
protezione (budelli naturali o artificiali), quindi asciugata in
apposite celle. Alla fase di asciugamento segue la stagionatura
condotta a temperatura compresa tra 12 e 18 °C, per 2 – 4 mesi.
Contrariamente a quello che molti ritengono, non è un insaccato ma
un prodotto salato, in quanto preparato da tagli di carne intere.
La pancetta è un taglio di carne che deriva dal rivestimento
adiposo e muscolare del costato del suino, salata e venduta
arrotolata, tesa o a cubetti. Può essere
affumicata.
Considerazioni sulla filiera
della carne
La qualità delle carni dipende in
primis da come animale si nutre o per dirla meglio da come
l'animale viene costretto a nutrirsi e in che condizioni. Se
il principio della produttività massima con minima spesa
la fà da padrona è ovvio che l'attenzione maggiore ricade
sulle filiere delle carni derivate da allevamenti intensivi,
presupponendo che i piccoli produttori forniscano ancora carni
derivate da animali sicuri trattati in maniera più naturale
possibile. La concentrazione degli animali in spazi sempre più
ristretti ed un regime alimentare obbligato determina negli
allevamenti intensivi una condizione di stress psico-fisico tale da
impedire un corretto e naturale sviluppo di tutti i sistemi vitali
tra cui quello immunitario che espone le bestie a facili malattie
come quelle da infezioni microbiche. I trattamenti da antibiotici
sono quasi obbligati per impedire epidemia negli stabilimenti. Non
ci meraviglia che un uso massiccio di antibiotici possa
selezionare super-batteri capaci di mostrare resistenza
ad un ampio spettro di molecole antimicrobiche. Gli
antibiotici usati nelle filiere alimentari pongono un altro
interrogativo fondamentale per la BioNeF: cosa succede alla nostra
flora intestinale quando assumiamo carni trattate con antibiotici?
È possibile che si possano creare degli squilibri della flora
intestinale ( vedi disbiosi intestinale) con tutte le conseguenze
che ne derivano? La risposta ovviamente non può essere certa e
definitiva anche perché stando ai dati ufficiali in
italia si potrebbe stare alquanto sicuri. Ma i dubbi restano
specialmente se consideriamo tutti i casi di disturbi intestinali
esplosi quasi in maniera esponenziale negli ultimi anni. Se a
questo aggiungiamo gli antimicrobici, antifunginei, utilizzati
nelle farine dei prodotti da forno (vedi filiere del pane) e di
tutti gli additivi a scopo conservativo presenti nei diversi cibi
(pesce fresco, dolci, conserve, ecc.) ci accorgiamo che la quantità
di xenobiotici assunti durante la giornata potrebbe assumere
livelli preoccupanti. La lista degli xenobiotici utilizzati nella
filiera della carne non si esaurisce purtroppo solo con
gli antibiotici ma comprende: anabolizzanti, cortisone,
beta-agonisti e beta-stimolanti. È quasi paradossale per
un nutrizionista apprendere che la maggior parte degli
xenobiotici vengano utilizzati nelle carni bianche e tenere come
pollame e vitello da latte che vengono normalmente inserite nelle
diete dimagranti. Ma quali sono i rischi per la
salute?
Non è raro vedere bottoni mammari
e ginecomastia nei bambini ed adolescenti segno evidente di uno
squilibrio ormonale in una fase importante della vita; oppure è
sempre più evidente il fatto che il menarca arriva con qualche anno
di anticipo rispetto al passato come emerso da un indagine
effettuata dalla Sima (Società italiana di medicina
dell'adolescenza) e dalla Sigia (Società italiana di ginecologia
dell'infanzia e dell'adolescenza) su 1048 studentesse di terza
media (13 anni di età media). É possibile che possa dipendere da
ciò che mangiamo? Non è inverosimile che un bombardamento di cibi
ad alto contenuto di anabolizzanti possano creare degli squilibri
ormonali e dare origine ai fenomeni visti sopra. È paradossale il
caso di diverse donne iperestrogeniche (un livello alto di
estrogeni rispetto al progesterone) che di per se hanno una
difficoltà nel perdere peso credere di poter dimagrire assumendo
carni bianche come il petto di pollo. Gli estrogeni o estrogeni
simili usati nelle carni si sommano a quelli endogeni peggiorando
la situazione. E che dire dei beta-agonisti o beta-stimolanti che
per i cardiopatici è veleno se consideriamo che molte malattie
cardiocircolatorie vengono curate con
beta-antagonisti.
Perché
vengono utilizzati questi
xenobiotici?
La risposta è alquanto ovvia ed è
legata all'aumento della produttività e alle richieste del mercato.
I vitelli da latte, per esempio, vengono alimentati con mangimi
poveri di ferro (in natura la carne sarebbe più rossa e grassa) per
ottenere una carne bianca; gli androgeni in associazione con il
cortisone (determina un senso di fame e benessere che induce a
mangiare di più) favoriscono la produttività con rese migliori
anche fino a 30 kg rispetto alle bestie non trattate. Quindi in
definitiva si ottine una carne magra (povera di grassi), bianca
(anemica) e più redditizia. Tra le carni più trattati con
xenobiotici sicuramente il pollame è al primo
posto.
Le considerazioni sulla filiera
delle carni non si esaurisce purtroppo nella fase di allevamento ma
prosegue nelle fasi successive Post-mortem sia per le
carni fresche sia per le carni trattate (in scatola,
salumi, insaccati).
Carni
fresche
La prima considerazione sulle
carni post-mortem riguarda la corretta maturazione (frollatura). La
carne, durante la maturazione, subisce un calo di peso dell’ordine
del 3-4%, legato alla perdita naturale di parte dell’acqua libera
presente nel muscolo. Per tale motivo gli addetti al commercio
delle carni tendono a ridurre al minimo i tempi di frollatura, a
discapito della qualità del prodotto, in termini soprattutto di
tenerezza e sapidità ma soprattutto della digeribilità . Diminuire
le ore di maturazione per favorire ovviamente i tempi e rendere
commerciabile il prodotto alimentare aumenta la redditività ma ne
peggiora la qualità. È noto, inoltre come le carni
fresche vengono trattate con anti-ossidanti capaci
di mantenere il colorito rosso delle carni e evitare
l'imbrunimento (sinonimo per il consumatore di carne andata a
male). Per contrastare i fenomeni di imbrunimento delle carni, da
tempo sono utilizzate diverse sostanze quali: niacina e
nicotinammide (associate ad acido ascorbico ed ascorbati), solfiti
e nitriti, acido L-ascorbico e i suoi sali di sodio e di calcio,
monossido di carbonio. Tali sostanze sono utilizzate nell'industria
alimentare come conservanti antimicrobici, antienzimatici e
antiossidanti ma l'utilizzo di tali additivi in quantità superiore
ai limiti consentiti dalla legge rappresenta una frode e
danneggiano la salute. I solfiti e l'anidride solforosa nelle dosi
comunemente utilizzate nell'industria alimentare sono considerati
sicuri ma negli ultimi anni sono stati messi in luce problemi di
ipersensibilità di alcune persone nei confronti di tali additivi;
per questo i produttori sono obbligati secondo il decreto
legislativo 117/2006 (integrazione del D.lgs 109/92) a riportare in
etichetta la presenza di solfiti ed anidride solforosa. L’acido
L-ascorbico è una vitamina essenziale per l’organismo umano e non
presenta problemi di tossicità. La niacina e la nicotinammide,
sostanze naturalmente presenti nella carne, se in quantità
eccessive, possono provocare bruciore del cavo orale e prurito
cutaneo. Il monossido di carbonio è innocuo per via alimentare
tuttavia, esplicando la sua azione stabilizzatrice solo sul colore
e non sulla flora microbica, potrebbe nascondere problemi
igienico-sanitari, derivanti dalla proliferazione microbica (ad
esempio lo sviluppo di amine biogene quali Istamina). Da quanto
detto risulta evidente che le garanzie offerte dai controlli
ufficiali non sono sufficienti per garantire un livello di
sicurezza accettabile. D'altro canto è difficile avere la sicurezza
assoluta di fronte a possibili frodi, a maggior ragione se il
fenomeno è piuttosto diffuso. Occorre da un lato evitare posizioni
estremistiche, dall'altro evitare di acquistare la carne con
eccessiva leggerezza. Non si possono definire criteri di scelta
assoluti, ognuno deve cercare le fonti di approvvigionamento più
sicure e comode, a seconda della
situazione e del luogo in cui si trova. Di sicuro esistono carni
più a rischio, che meritano una particolare attenzione, o la totale
messa al bando dalla propria alimentazione. In generale vale il
principio che meno la carne è consumata dalla popolazione e più
difficilmente gli allevamenti saranno di tipo intensivo, e quindi
gli animali saranno meno trattati con farmaci. Nel caso
della selvaggina (come cinghiale,
fagiano, ecc.), avremo la sicurezza che l'animale è vissuto secondo
natura. Affidarsi a prodotti
inusuali, quindi, può
rappresentare una forma di tutela contro contaminazioni e anche
contro le frodi, poiché il mercato dell'illecito ha maggior
convenienza agendo sui grandi numeri. I
prodotti DOP e
IGP, sempre più
diffusi anche per quanto riguarda le carni, offrono garanzie di
sicurezza aggiuntive grazie al maggior numero di controlli e
l'obbligo di produrre secondo un disciplinare, e grazie (si spera)
a una maggior etica del
produttore che sceglie di puntare sulla
qualità. Anche se, come abbiamo visto, le frodi avvengono anche in
Italia, il nostro paese è storicamente meno colpito da
scandali rispetto agli
altri dell'Unione Europea: è bene affidarsi al mercato italiano
acquistando carni di animali cresciuti e macellati in Italia. La
nuova legge dovrebbe consentire agevolmente di risalire alle
informazioni necessarie, esposte in etichetta.
Carni
trattate
Le carni trattate rappresentano
tutti i prodotti in scatola, insaccati, e salumi. In questo
paragrafo vogliamo fare delle considerazioni più approfondita sui
diversi additivi già accennati nei paragrafi precedenti, utilizzati
per mantenere la freschezza delle carni, migliorarne il gusto ed
impedire la proliferazione microbica in modo da conservare a lungo
l'alimento. Nonostante siano ammessi dall'EFSA (Agenzia per la
Sicurezza Alimentare), molti additivi mostrano alcuni effetti
dannosi per l'organismo specie se assunti in grosse quantità. Per
fortuna tutte le industrie alimentari hanno l'obbligo di
specificare gli additivi aggiunti che vengono identificati con una
sigla (una E seguita da 3 numeri). Queste sigle sono fondamentali
per essere consapevoli su cosa assumiamo ed essere anche messi
nelle condizioni di rifiutare l'acquisto dei prodotti alimentari
che li contengono.
-Nitriti e nitrati (E249,
E250, E251, E251) sono sostanze presenti in natura in alcuni
alimenti vegetali ed animali. In chimica sono classificati tra i
sali di azoto. Naturalmente i nitriti ed i nitrati li troviamo nel
sedano, nella lattuga nelle bietole ed in molti altri ortaggi, ma
combinati con la vitamina C perdono il potenziale nocivo per
l'organismo. In ambito industriale, invece, si utilizzano
principalmente negli insaccati, nella carne in scatola e nel pesce
marinato. L'industria alimentare li utilizza come conservanti, per
non intaccare la colorazione rosso vivo di carne ed insaccati, per
mantenere l'aroma e fungere da antimicrobico. I nitriti nello
stomaco originano le nitrosammine, composti dalla comprovata natura
cancerogena. Inoltre, legandosi all'emoglobina, i nitriti
inibiscono parzialmente il trasporto ai tessuti dell'ossigeno. I
nitrati, naturalmente innocui, tendono a trasformarsi in nitriti
quando a contatto con la saliva.
- Glutammato è un
aminoacido presente naturalmente nelle proteine alimentari. Il sale
di sodio ricavato da quest'acido è chiamato glutammato monosodico.
Il glutammato di sodio viene utilizzato come additivo alimentare in
numerosi prodotti: il comune dado da brodo, prodotti in scatola,
salumi e cibi congelati. Si utilizza per intensificare il sapore
del cibo, grazie alla sua capacità di attivare i recettori del
gusto. La pericolosità del glutammato è alquanto controversa ma
Oltre alla “sindrome da ristorante cinese”, è stata evidenziata la
presenza di vari disturbi correlati all'assunzione eccessiva di
glutammato, tra cui danni al cervello, cefalea, problematiche
ormonali, cattiva ritenzione idrica. Inoltre, essendo un esaltatore
di sapidità, il glutammato rende più salati e sapidi gli alimenti,
diasabituandoci alla percezione del gusto naturale dei
cibi.
-Polifosfati (E452)
(polifosfati di sodio, potassio o calcio)sono composti inorganici che
derivano dalla polimerizzazione del metafosfato di sodio. Sono
additivi stabilizzanti, in quanto mantengono lo stato
fisico-chimico di un prodotto alimentare nel tempo. Si trovano in
Formaggi fusi, carni in scatola, insaccati cotti, prosciutti cotti,
carni preparate di tacchino, prodotti impanati e dolciari, latte
concentrato, latte in polvere, farina di patate, preparati per
budini. Rendono il prodotto morbido e succoso, conferiscono aspetto
untuoso. Vengono aggiunti per mantenere il prodotto più morbido in
quanto trattengono acqua amalgamandola con la parte grassa
del composto. Allo stesso tempo si riducono i costi di produzione
in quanto si riduce la materia prima in quanto aumenta la
percentuale di acqua presente nel prodotto. Danno problemi
digestivi e possono provocare occlusioni intestinali. Sottraggono
calcio all'organismo col rischio di rachitismo, da evitare per i
bambini e donne incinta. Come i difosfati e trifosfati, sono da
consumarsi con moderazione, perché a dosi massicce possono
comportare rischi di iperattività, di cattiva assimilazione dei
minerali e anche problemi digestivi. Essendo contenuti in molti
prodotti di uso quotidiano, alte concentrazioni di fosfati
potrebbero alterare diversi processi metabolici. E' facilmente
identificabile un insaccato che contiene polifosfati perché la
fetta resta integra, lucida e non ha alcuna tendenza a
sbriciolarsi, nemmeno dopo un giorno all'interno del frigorifero;
invece quando un insaccato si presenta opaco e con bordi un po'
frastagliati, è un alimento privo di questo additivo, quindi più
genuino. L'aggiunta di polifosfati ai formaggini permette di
incrementare la loro spalmabilità, consentendo alle creme di
mantenere la loro consistenza fluida. Però, i polifosfati aggiunti
agli alimenti contenenti calcio presentano oltre a quelle viste
sopra anche una controindicazione: avendo una spiccata tendenza a
legare lo ione calcio, rendono gran parte di tale minerale
inutilizzabile, poiché ne riducono l'assorbimento da parte
dell'organismo diminuendo il valore nutritivo degli alimenti a cui
vengono addizionati. È interessante notare che i polifosfati sono
anche contenuti nella maionese light per ridurre il quantitativo
di olio, quindi di grassi, e quindi eliminiamo qualche molecola di
grasso ed aggiungiamo un additivo chimico per garantire la
consistenza del prodotto non light; demonizzare i grassi ha
determinato più esiti negativi che positivi; i cosi detti cibi
light non solo non servono a nulla in termine di dimagrimento ma
sarebbero anche più dannosi alla salute. Addirittura è
stato ipotizzato che l'assunzione di alcuno additivi come i
polifosfati possa provocare un aumento
dei livelli di
colesterolo e di grassi nel sangue, e la
comparsa di disturbi renali.